Startup da 0 a 100: la storia di Davide Rovera

Da piccolo sognava di fare il salumiere, da grande è diventato “professore di startup”. È la storia di Davide Rovera, alumnus del progetto Reading Economics della Fondazione CRT che per lavoro ha scelto di intrecciare tecnologia, persone e opportunità.

Dopo una laurea in ingegneria gestionale conseguita al Politecnico di Torino, Davide continua a specializzarsi tra Germania, UK e Finlandia iniziando le sue prime esperienze nel mondo degli incubatori e acceleratori di startup in giro per il mondo, dalla California alla Catalogna, passando per l’Uganda.

Grazie al progetto Reading Economics della Fondazione CRT Davide fa suoi tutti gli strumenti indispensabili a ogni esperto del settore come l’approccio lean startup per il lancio di idee e progetti innovativi e il perfezionamento dell’inglese professionale. Non solo: oltre a una settimana di alta formazione a Canterbury, vola per otto mesi a San Francisco, dove assimila tutto ciò che la Silicon Valley ha da offrire. 

Con un’esperienza decennale in giro per il mondo, oggi Davide è founder e direttore del programma di incubazione e accelerazione di startup eWorks sviluppato dall’Esade Business School di Barcellona, per la quale insegna come docente all’interno del Dipartimento di Strategia. Una definizione che copre solo in parte la sua attività, a cui si aggiunge la collaborazione con Startup Africa Roadtrip e l’insegnamento in oltre 50 percorsi didattici in tutta Europa.

Come sei entrato nel mondo degli incubatori di startup?

Non sono una di quelle persone che ha sempre avuto le idee chiare sul proprio futuro. Mentre i miei amici da piccoli aspiravano a diventare pompieri o astronauti, io sognavo un futuro da salumiere, ipnotizzato dal movimento del prosciutto attraverso l’affettatrice. Flashforward avanti di qualche anno e mi sono ritrovato a dover scegliere l’università su cui investire: dopo lunghe perplessità ho scelto ingegneria gestionale, non perché mi avvicinasse al sogno del salumiere (ormai svanito) ma perché in grado di combinare la mia passione per la tecnologia con quella per lo sviluppo di soluzioni per l’efficientamento dei processi, a vantaggio del nostro tempo e delle nostre energie. Citando Bill Gates, “per trovare il modo più efficiente per fare qualcosa basta assegnare il lavoro ad un pigro”: ero la persona giusta! Iniziò quindi il mio sogno di lavorare come consulente nella convinzione di poter vivere in un ambiente dinamico e ricco di progetti interessanti, di viaggiare per il mondo e guadagnare un sacco di soldi. O, almeno, questo era l’immaginario che mi ero costruito sulla base dei racconti dei miei docenti, mentre là fuori la realtà si è dimostrata un po’ diversa.
Dopo la laurea mi sono candidato come business analyst per I3P, l’incubatore del Politecnico di Torino per il quale ho seguito la definizione del programma di accelerazione di progetti Web 2.0 Treatabit. In parallelo ho integrato la mia formazione partecipando al programma Reading Economics della Fondazione CRT.

Il progetto Reading Economics ti ha fatto volare per una doppia esperienza all’estero, prima a Canterbury e poi in Silicon Valley. Cosa ti hanno lasciato?

Nella sua prima fase il programma Reading Economics della Fondazione CRT mi ha aiutato a sviluppare un pensiero critico con cui interpretare l’economia e la politica mondiale, fornendomi gli strumenti essenziali per una buona comprensione e comunicazione dei temi economici. A questo è seguito un corso di business english grazie al quale ho potuto potenziare il mio inglese professionale e, per concludere in bellezza, due esperienze all’estero estremamente significative per il mio futuro: una settimana a Canterbury e otto mesi a San Francisco.
La settimana di alta formazione a Canterbury mi ha offerto le basi di lean startup che ancora oggi uso in alcuni dei miei corsi e la possibilità di incontrare compagni di corso con cui ho stretto legami di amicizia decennali.
Ciliegina sulla torta, la borsa di studio grazie alla quale ho potuto coronare il sogno di vivere e lavorare nel tempio della tecnologia e dell’innovazione: la Silicon Valley, dove ho spremuto fino all’ultimo minuto degli otto mesi del mio visto per assorbire tutto ciò che mi era possibile imparare. Qui ho lavorato come business developer per Vivocha, una startup italiana di cui ero l’unico dipendente in tutto in Nord America e attraverso la quale ho incontrato persone provenienti dagli imperi della tecnologia che prima avevo sempre e solo conosciuto come utente.

E dopo la Silicon Valley?

A Reading Economics concluso, sono tornato in Italia con le idee chiare: non tornare mai più al modello di impresa tradizionale ma lavorare per progetti di innovazione. Ma, si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare: ho lavorato per altri due anni come consulente, senza per questo smettere di cercare nuove strade. L’opportunità si è presentata nel 2015 quando conobbi Jan Brinckmann, professore, imprenditore e business angel, in quel periodo alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarlo a costruire e gestire un programma di incubazione e accelerazione per una delle Top20 business school del mondo: l’Esade Business School di Barcellona. Senza un attimo di esitazione, ho lasciato il mio lavoro da consulente per trasferirmi a Barcellona: da allora il progetto eWorks è cresciuto fino a contare cinque collaboratori e quattro programmi di accelerazione, seguendo quasi 100 progetti l’anno. Nel frattempo ho iniziato a insegnare e ad investire in startup.

Finlandia, Uganda, Germania, San Francisco, Canterbury, Barcellona. Hai vissuto numerose esperienze all’estero, formative e professionali: cosa ti hanno insegnato in più rispetto al contesto italiano?

A parte un’esperienza di un anno in Germania, durante gli anni di specialistica sono due le attività che mi hanno particolarmente toccato: una collaborazione con una startup di I3P e un viaggio di 15 giorni in Silicon Valley. È qui che ho scoperto l’esistenza di un mondo diverso di lavorare, senza gerarchie né “ma tu sei giovane”, ma con una grandissima enfasi sulle qualità delle persone.
Da allora ho iniziato a vedere le idee come opportunità, lanciandomi in progetti e cambi di vita sostanziali nella convinzione che il potenziale della propria professionalità risieda più in ciò che si conosce, in quello che si sa fare e nelle relazioni che si coltivano. Per questo ho sempre messo al primo posto l’apprendimento, sentendomi libero di cambiare lavoro, città o Paese alla ricerca di qualcosa di sempre nuovo da imparare.

I tre ingredienti essenziali alla base di ogni startup di successo?

Team, team, team. Tutto dipende dalle persone: le capacità, la scelta del progetto, la motivazione.
La squadra conta sulle skill complementari dei propri componenti, tra cui non possono mancare le capacità di prefiggersi obiettivi ambiziosi ma realizzabili, di settare le priorità, di rivedere il progetto in corsa, di raccogliere risorse e di valorizzare il proprio lavoro.
Rende molto bene l’idea la definizione di Steve Blank, imprenditore seriale che descrive una startup come “un’organizzazione temporanea progettata per trovare un modello di business scalabile e ripetibile”. La mission alla base di ogni startup infatti è quella di trovare un modo nuovo di fare qualcosa: questo vuol dire sapersi muovere tra le righe, forzare al limite i regolamenti, scoprire le incongruenze e individuare tutte le pieghe del sistema che consentono la realizzazione di un qualcosa.

Anche la scelta del progetto stesso dipende dal team. C’è chi determina il proprio progetto con l’obiettivo di guadagnare più soldi possibile, chi per risolvere un problema ancora mai affrontato da nessuno, chi per offrire il proprio contributo alla società o all’ambiente e così via. Qualsiasi sia la ragione alla base della scelta della propria idea, ci sarà sempre bisogno di qualcuno all’interno del team che sappia pensare “out of the box” e che in ogni istante possa passare da una visione di estremo dettaglio ad una di lungo periodo o viceversa.

Last but not least, la motivazione: la legge di Murphy è una delle poche certezze nella vita di una startup, che sa bene che tutto andrà male prima di andare bene. Solo un team con estrema motivazione è in grado di sopportare i momenti di difficoltà, gli innumerevoli rifiuti, i fallimenti e i continui cambi di direzione necessari per costruire un progetto di successo.

A chi consiglieresti di seguire un progetto di formazione dei Talenti della Fondazione CRT?

A chiunque abbia voglia di fare un salto, di cambiare il proprio percorso professionale, di uscire dai rigidi modelli lavorativi italiani e di scoprire un altro modo di fare le cose. Il tutto divertendosi e costruendo una rete di contatti e amicizie che dureranno per molti anni.

 

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Davide Rovera